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martedì 19 gennaio 2016

Campanarazzu. Alle origini di Misterbianco

Dopo un lungo periodo di quiescenza, torniamo a scrivere tra le pagine del nostro blog, e ci occupiamo ancora una volta - dall'ormai lontano mese di giugno - dei beni archeologici e monumentali che arricchiscono la cittadina di Misterbianco. E lo facciamo iniziando dalla fine.

Ipotesi ricostruttiva dell'eruzione del 1669 secondo il pittore Domenico Agosta (fonte).
O per meglio dire dalla distruzione che subì quel primo nucleo abitativo, detto Monasterium Album nei diplomi quattrocenteschi, venendo sommerso dall'ignis flumen del 1669.
Il piccolo abitato, ben documentato nei carteggi cinque e secenteschi, sorgeva a ridosso di un noto monastero fondato probabilmente nel XIV secolo la cui chiesa era dedicata a Santa Maria delle Grazie e le cui pareti erano intonacate di un vivissimo chiarore, tale da ricordare l'edificio appunto quale "Monastero Bianco", donde poi il nome del villaggio.
Stampa dell'incendiato Comune
Antica rappresentazione del borgo di Misterbianco (fonte).
Questo, sorto inizialmente per le attività di supporto dei frati, si ingrandì e ottenne sempre più un carattere urbano al punto da contare più di 900 abitazioni per 3.656 abitanti nel 1652.
Appena dodici anni prima il casale, appartenente al demanio, venne infeudato per rimpinguare le casse regie sotto Filippo IV, a beneficio del genovese Giovanni Andrea Massa che due anni più tardi cedette al casato dei Trigona di Piazza il borgo, nella figura di Vespasiano, chiamato anche Francesco Mario.
Dobbiamo probabilmente a questo "passaggio di consegne" l'aspetto manierista della chiesa madre, già cappella del monastero, nel cui presbiterio si fece seppellire il Trigona, già barone di S. Cono e Dragofosso, come recita la lettera testamentaria:

Anno Domini 1668 die 7 Dicembris
Don Franciscus Marius Trigona, civitatis Plachae, abitator clarissimae urbis Catanae Dominus huius terrae Misteri Albi aetatis suae annorum triginta quinque, in dicta urbe Catanae, in domo sua animam reddidit Deo, cuius corpus fuit a dicta urbe translatum in hac praedicta terra Misteri Albi et sepultum fuit in hac Matrice Ecclesia

Ma le spoglie di Francesco Mario, il cui nipote omonimo sarà il primo a fregiarsi del prestigioso titolo di Duca di Misterbianco, non riposarono in pace a lungo: appena tre mesi dopo diversi moti tellurici annunciavano l'apertura di una fessura sul fianco dell'Etna, dalla quale si riversarono 16 km di lava, da Nicolosi fino al mare, distruggendo e seppellendo ciò che essa incontrava lungo il cammino e condizionando inesorabilmente la vita degli etnei. Il 10 marzo iniziò la formazione del cratere che prese il nome di Monti di la ruina, oggi noto come Monti Rossi, e l'indomani la lava raggiunse e distrusse Misterbianco, schivando appena qualche abitazione rurale e la chiesa degli Ammalati.

Epigrafe posta al di sotto dell'olivo ultra centenario.
La lentezza del fronte lavico, che da marzo solo a luglio raggiunse il porto di Catania, permise comunque ai misterbianchesi di salvare tutto ciò che fosse stato facilmente asportabile, ma il panico fu tale che la gente si disperse tra le campagne senza una meta precisa, così il canonico della chiesa madre fece appendere la campana bronzea della chiesa madre, opportunamente salvata, sul ramo di un vecchio olivo per chiamare a raccolta i cittadini. L'olivo, miracolosamente sopravvissuto alla lottizzazione selvaggia, è noto popolarmente col nome di Aliva 'mpittata e si trova non lungi dal sito della vecchia città scomparsa.

Interni del campanile.
La città venne ricostruita sin dal mese successivo, a partire dalla chiesa madre, eretta ad imitazione del tempio più antico. Questa è ancora oggi esistente, sebbene abbia persa il suo primato civico ed è intitolata a San Nicola.
La lava poi, raffreddandosi, offrì uno spettacolo inquietante e spaventoso, ma tra le sciare si vide un fenomeno piuttosto singolare che caratterizzò a lungo il sito. In mezzo alla roccia si ergeva ancora integro l'antico campanile della chiesa madre, come un faro che coraggiosamente si oppone ad una dragunara di petra.
Il fascino crollò con il sisma del 1693 e le macerie ostruirono quell'unico passaggio verso un mondo adesso sotterraneo.

Il campanile così diruto prese facilmente il nome ad oggi rimasto: Campanarazzu.

Confronto tra la planimetria ipotetica
e la planimetria reale
Nel corso dei secoli non mancarono ardimentosi ragazzi che si cimentavano nell'impresa di incunearsi tra le rocce dell'infausta colata. Questi raccontavano di meraviglie cui nessuno voleva credere. Vi fu poi negli anni '80 chi arrivò ad intuirne l'integrità del pavimento e alcune foto ritraenti i resti di colonne finemente decorate concretizzarono l'idea che l'edificio fosse ancora esistente e si potesse liberare dalla lava. Si abbozzò anche una planimetria, basata prevalentemente sul confronto con la chiesa di San Nicola e sulle varie esplorazioni speleologiche di quegli anni. Tale planimetria però si rivelò in parte errata.

L'antica chiesa di Santa Maria delle Grazie
(gennaio 2016).
Sulla base degli indizi fin lì raccolti, una associazione locale, Monasterium Album, sorta appositamente allo scopo di recuperare la memoria civica recuperandone i monumenti e fondando un museo, riuscì a convincere gli enti interessati - ai tempi la Provincia di Catania - ad inaugurare quella che divenne una lunga campagna di lavori che ha messo in luce l'intero impianto ecclesiastico, con l'obiettivo di renderlo fruibile e creare così una nuova e imperdibile risorsa del territorio, con l'idea che gli stessi misterbianchesi possano esserne attenti custodi ed estimatori.
Contestualmente ai lavori di sgombero si provvide alla creazione di un giardino civico con ampio parcheggio annesso, nella previsione di creare un grande parco comprendente le sciare, i ruderi e un grande querceto secolare scampato alla furia della lava.

Il sagrato cinquecentesco della chiesa,
combusto dalla lava del 1669.
Il cantiere ha messo in luce l'intero perimetro, nonostante buona parte delle pareti vennero distrutte fino a quasi un metro da terra, salvo alcune importanti eccezioni, come le due profonde cappelle che conferiscono una insolita planimetria all'edificio o il presbiterio, conservati praticamente fino all'imposta del tetto.

Davanti alla facciata si rinvenne persino l'originale lastricato a gradoni in pietra da taglio e ciottoli, costituente il sagrato della chiesa, mentre del portale sono emersi i basamenti degli stipiti, finemente scolpiti.

Gli stessi a loro volta hanno restituito numerose testimonianze di fede, sintetizzate dall'incisione di nomi, lettere, simboli, tra cui la più ricorrente è la croce.
Basamento dello stipite di destra.

Una delle maggiori sorprese fu il ritrovamento di un magnifico portale bicromo, databile al primissimo rinascimento catanese (metà del XV secolo).
Si tratta di una porta costituita da due alti stipiti lisci in pietra lavica che reggono un arco in pietra calcarea di possibile estrazione iblea.

Due pseudo-capitelli serrano l'apertura ai suoi lati, decorati a toro e scozia. Su questi si appoggiano altrettanti mensoloni triangolari che reggono un cornicione il quale chiude l'arco. Il cornicione riprende il motivo dei capitelli, cui aggiunge una processione di dentelli che seguono la curva dell'arco.
L'intradosso presenta una incavatura che ne mette in risalto il bordo bombato.

Questa tipologia di portale, sebbene indicato da alcuni quale di gusto tardo-gotico, andrebbe piuttosto inquadrata già nel rinascimento, specie se confrontata con gli analoghi esempi nella Cappella Bonajuto a Catania, dove è possibile apprezzare un processo formale che conduce al tipo del primo Cinquecento. Un portale pressoché identico, va ricordato, venne recuperato per organizzare l'ingresso all'incavo che conserva i resti della omonima chiesa di Mompileri.

Altare di Sant'Erasmo, inizi XVII secolo.
All'interno dell'edificio si rinvennero alcuni altari pressoché integri, sebbene con vistose tracce di combustione, mentre di altri si trovarono solo macerie.
Con molta pazienza i frammenti architettonici sparsi sono stati recuperati e, capitane la disposizione, se ne sta iniziando il montaggio e l'integrazione dei frammenti perduti.

Originariamente dipinti - rimane anche un affresco secentesco rappresentante forse Sant'Antonio Abate - gli altari erano tutti inquadrati in macchine rinascimentali rievocanti gli archi di trionfo romani.
Vale la pena ricordare l'altare di Sant'Erasmo, su cui vi era un incavo in cui si incastrava la statua nimbata del santo, evidentemente asportata durante il corso dell'eruzione, il quale era riccamente decorato con un trompe-l'oil rappresentante un balcone e la volta celeste resa da un amalgama di puttini.

Poco prima del presbiterio si trovavano le due grandi cappelle del Crocifisso e di Santa Maria delle Grazie.

La Cappella del Crocifisso, grazie allo studio di alcuni carteggi, è datata al 1628, poco prima pertanto la vendita del casale al mercante Massa.

La cappella era anticipata da un ricchissimo e prezioso pavimento in ceramica smaltata che trova utili confronti con i materiali rinvenuti nella cosiddetta Casa del Terremoto a Catania e databile alla metà del XVII secolo. Questo pavimento taglia il regolare tessuto delle mattonelle esagonali, tipiche nel catanese rinascimentale, creando di fatto un ampio sagrato che anticipa la cappella, il quale aspetto doveva somigliare ad un prezioso tappeto. Si potrebbe supporre l'esistenza di un cordolo o di una balaustra lignea che ne seguisse l'andamento. Tali attenzioni permettono oggi di capire quanto il culto al Crocifisso fosse particolarmente sentito in quella Misterbianco secentesca.

Cappella del Crocifisso (1628).
L'ingresso alla cappella era costituita da un ricco vestibolo rinascimentale, ancora una volta replicante il motivo dell'arco trionfale, stavolta più ampio e maestoso rispetto alle strutture degli altari laterali.
Ai lati dell'arco erano due semicolonne binate, su basi finemente decorate da motivi fitomorfi, fito-antropomorfi e rappresentanti bizzarre creature, dal corpo scanalato e di ordine corinzio.
Tra le due colonne era ricavata una finta nicchia con un altorilievo figurato. Le due statue in pietra, malta e stucco rappresentavano i santi Pietro e Paolo.
Dalla cappella si giungeva ad un vano, forse un piccolo oratorio, vista la presenza di una piccola nicchia sulla parete nord.

Cappella di Santa Maria delle Grazie (1628 ca.).
Fronteggiante ad essa era la Cappella di Santa Maria delle Grazie. Questa, per analogia stilistica, non può che essere databile allo stesso periodo della precedente.

Anche questa cappella era inquadrata all'interno di un ricco vestibolo finemente decorato nei cui lati erano ricavate due nicchie strette tra le colonne binate con rispettivi santi raffigurati al loro interno.
A differenza della cappella del Crocifisso, questa era costituita da una nicchia piuttosto che da un profondo vano, al cui interno era alloggiata la magnifica opera plastica gaginesca rappresentante la Madonna delle Grazie, asportata in tempo dai misterbianchesi e preservata dalla lava.
Ai lati dell'altare vi era un percorso costituito da gradoni, utile per il raggiungimento devozionale della statua.

La Cappella Gotica.
Gli ultimi finanziamenti importanti hanno concesso l'esplorazione e la liberazione di un vano fin lì insperato, ubicato alle spalle del nicchione entro cui era il simulacro della Madonna.

Questo vano dovette essere l'originaria cappella delle Grazie, chiusa in un secondo momento per ragioni logistiche o strutturali, da cui venne asportato il simulacro rinascimentale intorno al primo Seicento.
L'ambiente ha restituito gli originali fasci di colonnine con relative basi e capitelli, nonché un accenno di costolonatura, di squisita fattura Gotica, appartenente ad un gusto piuttosto raro in Sicilia, citando pienamente l'eleganza francese.

D'altro canto il Gotico è citato apertamente dalla presenza di un achtort, una stella ad otto punte che costituiva un insolito ingresso ad una delle sepolture decorato da semplici scanalature, un simbolo molto forte e rinforzato dal trovarsi di fronte all'altare del Santissimo Purgatorio.

La stella a otto punte, infatti, costituisce come l'analoga forma dell'ottagono la figura intermedia per eccellenza tra il quadrato - che nella simbologia medioevale rappresenta il mondo materiale - e il cerchio - simbolo invece del mondo ultraterreno - acquisendo pertanto il significato del passaggio tra la vita terrena e quella ultraterrena.

Questa magnifica bocca per le sepolture non è a sola a presentare un bordo decorato, alcune riprendono lo stesso semplice motivo, altre invece mostrano elementi di raffinata eleganza attraverso motivi incisi su lastre di marmo.

Muro del pulpito.
Vale la pena infine evidenziare altri elementi messi in luce dai lavori di sgombero dalla lava del 1669, come per esempio un alto zoccolo che circonda il presbiterio, forse base per un coro ligneo.

Questo seguiva l'andamento della parete che è stata rinvenuta piatta e non , come si ipotizzava curva in un cappellone, circondando poi con una gradinata l'altare centrale.

La parete sud del presbiterio ha restituito anche la scalinata in muratura che raggiungeva il pulpito, addossata alla parete ovest della cappella del crocifisso, oltre alla porta che doveva condurre fuori o in altri ambienti perduti, murata come meglio si poté con rocce poste alla rinfusa, nella speranza che la lava non arrivasse ad entrare.


Frammenti lapidei da Campanarazzu, all'interno del Museo di Arte Sacra di Misterbianco.
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