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venerdì 20 febbraio 2015

La "Piccola Pantalica Catanese": Le Grotte di Primosole - Terza parte

In fase esplorativa abbiamo identificato tra le Grotte di Primosole un ambiente interamente scavato nella roccia, anticamente articolato in più ambienti, con nicchie (una, magnifica, arcuata) e un pozzo di tipo saraceno (a campana) che permette un orientamento cronologico: si tratta quasi certamente di un ambiente di pertinenza della Mensa Arcivescovile Catanese, relativa ai primissimi anni del XII secolo.

La struttura conserva due camere principali, una molto profonda il cui aspetto rammenta il celebre heroon di Monte San Basilio, mentre l'altra conserva tracce di una trabeazione scolpita nella roccia, segno evidente di una facciata monumentale, logorata dagli agenti esterni. Ipoteticamente, potrebbe essere stato un santuario rurale greco occupato e riadattato nel Medioevo per ricavarne un ambiente monastico autosufficiente grazie alla presenza del pozzo, un tempo chiuso da una copertura (forse lignea) andata perduta, il quale quasi certamente captava una sorgente che filtrava tra le rocce calcaree e gli strati argillosi.

Al XII secolo possiamo comodamente rimandare la titolazione di Grotte di San Giorgio alle nostre cavità, titolo esteso poi all'intera contrada e alla masseria che dalla contrada prende il nome, in quanto il simbolo della diocesi catanese fu, per l'epoca normanna, il santo cavaliere, protettore dei Normanni nella Battaglia di Cerami. Tale definizione è ancora esistente e non mancano sulla collina i riferimenti ancora oggi alla Contrada Grotte San Giorgio. Data la presenza di una nicchia arcuata, forse ad uso di altarino, potremmo indicare nella struttura rupestre la Grotta di San Giorgio propriamente detta, dove non è impensabile avvenisse il culto del santo.
Curioso però come uno scrittore attento come il Verga non abbia fatto riferimento alle grotte nei racconti citati, forse la via che conduceva alle cavità risultava abbastanza impervia per chi non risedeva in zona, al punto che chi non fosse del luogo potesse ignorarne l'esistenza. Lo scrittore si limita a citare le "collinette nude di Valsavoja", sul lato destro per chi passava il fiume (il Simeto, quasi certamente).
Appare singolare anche il silenzio dell'Orsi, anche se ciò potrebbe essere dovuto alla perdita di parte dei suoi taccuini, come sarebbe avvenuto per la monografia di Sciuto-Patti senza l'amorevole interesse di Condorelli.
Per evitare l'allagamento della Piana con le acque meteoriche provenienti dalla collina – cui si aggiungevano le copiose sorgenti – si provvide allo sbancamento di parte delle rocce e alla creazione di un canale di gronda che mitigasse gli effetti della pioggia. In questa occasione, stando ai racconti di gente del posto, si persero alcune delle cavità. Nel 1964 il feudo dei baroni di Villermosa e di Castel d'Oxena veniva spezzato in più lotti, praticamente svenduti, per fini agricoli in parte, ma soprattutto per fini industriali. In tale occasione si realizzò un imponente cementificio che ha distrutto buona parte della collina, con tutto ciò che essa conteneva: cavità artificiali e probabilmente anche naturali, forse persino piccole grotte carsiche di cui sono presenti alcuni indizi e i presunti resti di un villaggio ipotizzato sull'apice del colle. Successivamente si realizzò la cava di pietre sul lato opposto della collina e in anni a noi vicini è stata innalzata la celebre isola ecologica, che ha portato la zona agli onori della cronaca per vicende affatto legate all'archeologia.
Delle Grotte di Primosole, in definitiva, rimane l'intitolazione di una strada comunale (divenuta non si sa né come, né quando e nemmeno perché strada privata) e alcune cavità sparse che pur ridotte in numero non si possono non riconoscere nella loro importanza archeologica, naturalistica, paesaggistica, storica, in parte letteraria. Anzi.

Dimenticarle può solo accelerare il processo di erosione sgretolandole come sabbia al vento.







Nota- per meglio agevolare la lettura abbiamo diviso l'articolo originario in tre parti.
Vedi anche:
-Prima parte
-Seconda parte

giovedì 19 febbraio 2015

La "Piccola Pantalica Catanese": Le Grotte di Primosole - Seconda parte

In cosa consistono le Grotte di Primosole?

In realtà non ci sarebbe molto da dire, in quanto per ciò che ci risulta non esistono studi approfonditi sulla zona. In pratica non c'è stato ancora un interesse archeologico della zona, salvo qualche rara citazione a cavallo tra i secoli XIX e XX, come in una introvabile monografia dello Sciuto-Patti.
Le grotte rimaste sono alcune cavità artificiali, fortemente erose a causa della natura instabile delle rocce in cui furono scavate, per la maggior parte ad uso funebre.
A quando possano risalire, chiaramente, rimane un mistero, mancandone il corredo trafugato in passato. La tipologia a forno può comunque costituire uno spunto di riflessione: che siano di origine preistorica? La tipologia a forno è diffusissima nel siciliano durante l'Età del Bronzo, ma rimane la principale sepoltura anche durante il Ferro e in alcuni casi in piena età greca. L'unico esemplare che abbiamo potuto esplorare presentava una pianta circolare con volta quasi piatta e ingresso quadrangolare. L'interno non si sviluppa molto in profondità e lo stesso ingresso si presenta piuttosto modesto, segno che si trattava di una tomba singola. La natura del materiale calcareo, facilmente erodibile, non ha permesso il perfetto mantenimento della facciata di ingresso, di cui tuttavia se ne è potuta intuire l'esistenza grazie ad un foro che dovette servire a fissare il chiusino della tomba. Altri sepolcri pure riconoscibili sono stati più sfortunati, presentantosi tronchi fin quasi la metà.

Chi poté sfruttare queste tombe?
La tipologia della tomba a forno non è diffusa nel contesto dei Siculi, mentre rimane un elemento distintivo sicano. Non si esclude quindi possano essere appartenute a quest'ultima società.

Le fonti e le prove archeologiche raccontano come nel corso del XIII secolo a.C. la Sicilia orientale venne spopolata dai Sicani, sotto l'avanzare siculo. Solo alcuni speroni di roccia ben difendibili, come Pantalica e Cassibile, consentirono il mantenimento di questa antica società indigena. Chiaramente la Collina Primosole non è per nulla difendibile (anzi è un punto strategico per l'occupazione militare della costa orientale, come testimoniato ancora fino allo sbarco alleato del '43), ciò può indurre a credere che tali tombe possano precedere l'avanzata sicula. Un sito dunque di grande importanza archeologica, visto che il suo studio potrebbe aiutare a comprendere meglio le dinamiche socio-etniche anelleniche di questa parte dell'Isola.
Le fonti raccontano la storia del luogo soltanto per un breve periodo durante l'occupazione romana: Plinio ricorda tra le città tributarie dell'Impero vi era anche l'antica Simeto, riportata nella Geografia di Tolomeo erroneamente come Dimeto. Per Diodoro Siculo fu città di origine servile, sorta vicino l'altare dei Palici, città chiamata Simezia da Petronio Russo e identificata con i ruderi della contrada di Mendolito, mentre per Cluverio andrebbe identificata con Regalbuto, poiché egli la colloca a metà strada tra Agira e Centuripe mal interpretando Ameselo come corruzione di Simeto (in realtà, alcuni autori secentisti volevano che il fiume Amenano di Catania fosse chiamato in età arcaica Chamaseno o Amaseno, donde forse il palese errore di Cluverio). Diodoro aggiunge che Ducezio vi edificò una polis cinta da mura, chiamata Palica. Tuttavia tanto Simezia quanto Palica vengono localizzate da autori moderni e contemporanei nella valle medio-alta del fiume Simeto e non nei pressi della foce.
Alcuni autori (Carrera, Parthey, Sciuto-Patti) hanno localizzato la necropoli della Symaethus latina in contrada Passo Martino "nella tenuta o podere denominato Turrazza (...) posseduta oggi dal sig. Carmelo Porto (...) dai villici denominato Spedale" non lungi dalla Collina Primosole, quasi a guardare le necropoli più antiche. Il sito indicato è oggi in un appezzamento privato e viene riportato in diverse cartografie archeologiche e turistiche. Alcune obiezioni mosse di recente (Condorelli) mettono in dubbio la possibilità che i due siti siano messi in relazione, per via del letto del Gornalunga, ultimo affluente del Simeto prima della foce, che segna un ostacolo geografico per una naturale continuità tra i siti.
Su questo sito e in generale della parte bassa della Piana le fonti sono piuttosto silenziose, lasciando così troppi vuoti che difficilmente si possano colmare. Giunge a gettare un po' di luce sulla storia del sito un diploma del 1093 in cui il Conte di Siracusa Tancredi Altavilla di Salerno cedeva alla diocesi di Catania tra gli altri il casale di Ximet o Simed (identificato dal Carrera con la contrada che Sciuto-Patti denomina Grotte, evidentemente Grotte San Giorgio, ossia il sito di nostra analisi)  di sua proprietà e punto di confine dei latifondi ceduti per la costituzione, nel 1102, del feudo della Mensa Arcivescovile di Catania, sequestrata dal regno sabaudo. Il latifondo si estendeva a sud fino al fiume San Leonardo, a nord fino al Simeto (detto magni fluminis Catan, Linheti o Muse, con chiaro riferimento in quest'ultima dizione alla toponomastica islamica di Wadi Musha, Fiume di Moses), a est fino al mare e a ovest fino alla carraia Lentini-Paternò. 
Il regno sabaudo, per fare cassa, svendette e smembrò il feudo; nel 1887 uno dei maggiori beneficiari fu il barone Sigona di Villermosa e Castel d'Oxena (o Oscina), alla cui famiglia rimase la collina fino al 1964.
Al Sigona di Villermosa si devono le principali architetture ancora ammirabili nei pressi, tra cui la Masseria Primosole, oggi azienda agrituristica, impostata su un baglio di canone settecentesco o la Masseria Grotte San Giorgio, posta a ridosso del nostro sito.


Alle vicende del feudo si ispirò Verga nella composizione della prima stesura del Mastro Don Gesualdo (allo zio Nunzio appartenne l'osteria di Primosole, trasposizione fittizzia del barone Antonio Sigona) citando inoltre la "madonna di primosole che è miracolosa" (in Vagabondaggio), alle cui spalle erano sepolti "l'orbo (...), lo zio Cosimo e lo zio Antonio" (in Mondo Piccino). A questo feudo appartennero le grotte, ma anche Verga tace sulla loro presenza.






Ringraziamo l'instancabile opera di divulgazione effettuata dall'Associazione SiciliAntica, che ha permesso la pubblicazione della preziosa monografia di Carmelo Sciuto-Patti (Sul sito dell'antica città di Symaetus, Catania 1880), altrimenti dimenticata.
Nota- per meglio agevolare la lettura abbiamo diviso l'articolo originario in tre parti.
Vedi anche:
-Prima parte
-Terza parte

mercoledì 18 febbraio 2015

La "Piccola Pantalica Catanese": Le Grotte di Primosole - Prima parte

Parlare delle Grotte di Primosole non è facile.
Non è facile per varie ragioni, anzitutto perché se uno dice "grotte su roccia calcarea" a Catania ti pigliano per scimunito.

Catania è nera, lo sanno anche i sassi.
Catania è costruita sulla lava, lo sanno anche i sassi.
Catania è Etna, lo sanno anche i sassi.
Ma quali sassi?
Quelli calcarei della Piana.


Già, perché a sud della città, appena di poco passato il Porto, il torrente Acquicella avvisa l'ignaro passante che Catania appoggia su una piana alluvionale che si estende fino al lontano San Leonardo, a Lentini. Poco importa se nel 1669 una eruzione ha creato una lunga lingua di lava tra la città e la Piana. Il resto è eretto su terreno argilloso e sabbioso. E la duna fossile del Giardino Bellini, la Villa, ne è un silenzioso testimone. Poco importa se solo per quei pochi studiosi che sanno ancora riconoscere una duna senza scambiarla con un cratere vulcanico.
Ma Catania è lava e rocce calcaree non ne ha. Figuriamoci grotte.


Ecco, chi vuole parlare delle Grotte di Primosole deve necessariamente fare prima i conti con un diffuso pregiudizio che nega la possibilità a Catania di essere circondata da suoli non lavici.
Questo pregiudizio in sé non è pericoloso, ma cela in sé il germe dell'indifferenza, che è forse il motivo principe per il quale risulta ancora più difficile poter parlare delle Grotte di Primosole.
Nell'indifferenza generale si perdono la maggior parte dei beni più preziosi che ci accompagnano. Questo è certamente il caso delle nostre grotte.
L'indifferenza negli anni '50 ha voltato le spalle ai primi sbancamenti per la realizzazione di un canale di captazione delle acque provenienti dal Colle di Primosole, i quali hanno tagliato via parte delle grotte più a valle. A metà del decennio seguente la creazione di una cava di un cementificio ha sbancato un'ulteriore ampio numero di grotte e ancora negli anni '80 la realizzazione di una cava di pietra calcarea hanno fatto il resto. Il degrado ha voluto seguire l'indifferenza, così che oggi il sito sia tristemente noto per via dell'isola ecologica (erroneamente definita "di Lentini") e per le tante professioniste che offrono i loro servizi ai margini delle strade.
Per questi motivi e tanti altri non è facile parlare delle Grotte di Primosole, anche per via dell'Autostrada che vi passa di sotto e freneticamente toglie qualsiasi interesse al mondo che la circonda. Eppure lì, a due passi dalla strada più rapida per giungere a Siracusa, si apre ancora una piccola porzione di un mondo incredibilmente vario e sconosciuto, tutto catanese.
La piccola Pantalica Catanese.








Nota- per meglio agevolare la lettura abbiamo diviso l'articolo originario in tre parti.
Vedi anche:
-Seconda parte
-Terza parte
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