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martedì 29 gennaio 2013

Corso Martiri della Libertà, via ai lavori

Oggi abbiamo incontrato il Sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli, per rivolgergli alcune domande su alcune grandi tematiche urbanistiche che si dicono da tempo in dirittura d'arrivo: tra queste non poteva mancare la riqualificazione di Corso Martiri della Libertà.

I lavori, che sarebbero dovuti cominciare entro il 2012, non sono ancora partiti, ma la notizia è che il prossimo 7 febbraio, dunque subito dopo le festività agatine, le aree saranno sgomberate in un'azione coordinata con i servizi sociali e si provvederà, quindi, alla recinzione delle aree di cantiere.

Proprio la stessa recinzione sarà oggetto di un piccolo concorso che coinvolgerà le scuole, per poter essere abbellita e dunque avere anche un impatto estetico gradevole durante i prossimi lavori.

Per le attività di cantiere vere e proprie, i termini scatteranno dalla presentazione della DIA (Denuncia di Inizio Attività) che, ci fa sapere il primo cittadino, avverrà entro la prossima settimana.

Il conto alla rovescia, dunque, è cominciato.



Abbiamo chiesto un chiarimento in merito al futuro assetto del viale. A lavori conclusi, sarà il Comune di Catania a dover provvedere alla pedonalizzazione del Corso, che dunque non avverrà contestualmente alla consegna dei lavori ma solamente attraverso una precisa disposizione dell'amministrazione comunale, che speriamo mantenga ferma questa decisione nell'ottica di una reale dimensione europea dell'intervento: i relativi lavori di arredo urbano, in ogni caso, rimarranno a carico dei privati.

Una storica ferita nel centro di Catania, pertanto, si appresta ad essere risanata con un progetto e una realizzazione che dovranno essere portati avanti anche dalla prossima amministrazione comunale, sia in caso di riconferma sulla poltrona di sindaco dell'attuale primo cittadino, in occasione delle prossime amministrative in primavera, sia nel caso di una scelta diversa dei cittadini catanesi per Palazzo degli Elefanti.

Perché questa difesa del progetto dell'architetto Mario Cucinella, pur contestato da molti? È presto detto.
Il miglior progetto per questa ampia zona del centro di Catania sarebbe potuto derivare da due condizioni:
1) Scelta delle funzioni da localizzare in base a uno studio attento delle reali e più evidenti necessità della città e dell'area, senza alcun vincolo di sorta;
2) Un concorso di idee aperto alla pluralità delle professionalità da cui far derivare il progetto da realizzarsi.
Nel caso di Corso Martiri della Liberà, però, sono dovute mancare ambo le condizioni. Le aree appartengono a privati che ambiscono a un lecito guadagno (che non deve confondersi con speculazione, nel senso negativo del termine) e che scelgono funzioni che lo permettano; quanto al concorso di idee, si è optato per un più semplice benestare da parte dell'amministrazione comunale a condizione di una elevata e universalmente riconosciuta qualità del progetto: benestare che è giunto al progetto dell'architetto Cucinella che vanta già prestigiosi riconoscimenti a livello internazionale. Ricordiamo, tra i più recenti:

  • SPACE Award. La rivista Cinese SPACE ha assegnato il premio annuale 'Best Environmentally Friendly Building' al Centre for Sustainable Energy Technologies (CSET). 2009 - Cina
  • MIPIM Award. Vincitore del Green Building award per l'edificio Centre for Sustainable Energy Technologies (CSET) in Cina. 2009 - Francia
  • MIPIM Architectural Review Future Projects Award. Vincitore dell premio 'Sustainability' per i progetti ARPA Centro di Ricerca e Casa 100k € e ulteriore menzione nella categoria 'Residenze' del progettoCasa 100k €. 2009 - Francia

Come si evince, in tutti i casi è stata premiata la particolare attenzione all'aspetto eco-sostenibile del progetto. Ecco perché Cucinella, con il suo progetto ricchissimo di verde pubblico pur insieme con le strutture previste, è una garanzia; ed ecco perché il suo progetto, reale occasione di sviluppo per la città di Catania, va difeso e portato avanti, senza logiche di sostegno od opposizione di partiti politici, ma solo nell'interesse del progresso della città anche, finalmente, sotto il profilo della qualità architettonica contemporanea.
Oggigiorno, oltretutto, il soggetto pubblico non può fare a meno dell'intervento finanziario e realizzativo da parte di soggetti privati, ai quali spetta una certa premialità, per portare avanti grandi progetti urbanistici.




domenica 27 gennaio 2013

Intanto, a piazza San Cristoforo...

Piazza San Cristoforo incarna un po' i paradossi di Catania.
Da un lato storia e architettura (popolana e non), dall'altro lato il degrado e l'abbandono; da un lato cittadini volenterosi che cercano di rendere piacevole il luogo in cui vivere, dall'altro incivili che rendono vano lo sforzo.
Come l'abbiamo lasciata a novembre.
Tempo fa raccontavamo della speranza di riscatto di questa piazza (L'occasione di piazza San Cristoforo), affinché diventasse simbolo - forte - di una rinascita non tanto di un quartiere, ma dell'intera città: se ci può riuscire piazza San Cristoforo, credevamo, può farcela anche il resto di Catania.
In questi mesi abbiamo monitorato con attenzione e cura l'evolversi della piazza dopo la recente allicchittata compiuta dal noto programma televisivo e, tutto sommato, ancora sembrava che il verde, grazie anche all'aiuto del vicino carrozziere, durasse e potesse durare. Qualcuno prima di noi iniziava a notare le avvisaglie del capitombolo (Salvo Catalano, Piazza San Cristoforo, un mese dopo La7 Alla manutenzione ci pensa l’elettrauto, 22 dicembre 2012), osservando la perdita di interesse da parte delle istituzioni (e qui noi ci chiediamo dove sia quell'assessore che vantava di aver organizzato la pulizia della piazza, o quell'altro che in campagna elettorale - estorcendo anche voti a malati terminali - vantava la riqualificazione di uno spiazzo condominiale in occasione di un noto programma televisivo della RAI...). Dopo un altro mese ecco quanto abbiamo riscontrato.

Una prima nota positiva che riscontriamo è la presenza di un operatore ecologico urbano che, sebbene sia ostacolato dalle macchine in sosta, è intento a svolgere il suo lavoro. La piazza, tutto sommato, appare in evidente e costante pulizia. Intendiamoci: non mancano cartacce, cicche, pacchetti di sigarette, bicchieri di plastica e altro lasciato da anonimi incivili, sebbene potrebbero essere stati portati dal vento (ovviamente dovremmo crederlo per fede...), come non mancano escrementi canini in ogni dove (non sempre, possiamo ben immaginare anche dalle testimonianze di residenti, di randagi). Ma la piazza viene periodicamente pulita, se la quantità di rifiuti appare marginale.
Novembre 2012.
Gennaio 2013.
Una seconda nota positiva che riscontriamo è il ripristino del secondo - seppur insufficiente - cestino, di cui rimaneva il solo paletto presso le (divertenti) panchine.
Ma non è solo l'oro a luccicare.
La palma a nord-est appare rovinata e sciupata: probabilmente vittima di impatto con pedone(?).
Piante sciupate e secche, aumento della vegetazione spontanea.
In mezzo alle graminacee (secche) una pianta divelta.
La vegetazione è il primo punto dolente: quella spontanea prende il sopravvento, le altre piante appaiono secche (molte le piantine morte, altre sono in condizioni davvero pietose).
In particolare segnaliamo alcune piante uccise forse dalla mancanza di acqua o dalla presenza di feci e orine animali. Una pianta tra le graminacee attira la nostra attenzione: appare in un invaso di terra e non siamo in grado di stabilire se si tratti di una delle piante novembrine divelta e buttata a caso lì o se si tratti di una pianta appartenente a chissà chi, buttata in mezzo alle piantine secche, perché l'aiuola è più una "pattumiera in verde" che un luogo di bellezza e di pulizia. Nel secondo caso non escluderemmo comunque l'origine dal sito stesso della pianta morta, poi ri-deposta insieme alle sue consimili.

La fontanella, ci pare anche superfluo dirlo, grida silenziosamente la sua siccità.




Le macchine iniziano a riprendere ciò che era (Dio solo sa in quale fantasia perversa) di loro possesso: due automobili e un furgone - che non fatichiamo a immaginarcelo parcheggiato lì per i prossimi anni a venire in pianta stabile - sfidano l'altezza del marciapiede pur di sottrarre spazio al vivere civile della dimensione umana. E i millantati dissuasori lungo il bordo della piazza? Campagna elettorale preventiva?
Una piccola e graziosa succulenta, palesemente non pertinente con il disegno di novembre, svetta tra pietre vulcaniche posizionate con evidente intenzione decorativa.
Il piccolo abete natalizio.
Intanto, a piazza San Cristoforo, anonimi collocavano nuove piante.
Tra queste un piccolo alberello di abete, senza difficoltà intuiamo per evidente decorazione natalizia (un piccolo tannenbaum, in pratica), cerca il suo spazio tra le portulacaria afra.



Intanto, a piazza San Cristoforo, fiorivano le agavi e le altre piante.
Nell'evidente indifferenza di noi stupidi e distratti cittadini, incivili e distruttori, caotici e vigliacchi, fiorivano le piante.
La natura compie il suo corso, almeno lei, donando molto nonostante quel poco di cura che riceve in cambio, facendo il suo lavoro. In silenzio, mentre noi siamo distratti da altro.

venerdì 25 gennaio 2013

Anno nuovo, vecchi mali...

G.A.P.A.
Giovani Assolutamente Per Agire.
O, appunto, Gapa.
Un centro sociale, come altri nella Catania di venticinque anni fa, nato per dare voce e creatività alle realtà periferiche, al mondo "altro" di una città che si dimentica troppo spesso delle sue estremità. Il Gapa è il focolaio di San Cristoforo, una periferia "anomala": come fa infatti un quartiere che si trova tra la Giudecca e le lave del 1669 a non essere considerato a tutti gli effetti centro storico? Come fa un sito archeologicamente rilevante (delle Terme di Sant'Antonio abbiamo già parlato, come abbiamo fatto cenno di Naumachie, Circhi e Ginnasi) e architettonicamente interessanti e facenti comunque parte della storia urbana catanese tra XVIII e XIX secolo a non essere degno di essere considerato parte del centro storico?
Il Gapa, dicevamo, da venticinque anni vive in questa estremità di Catania, aiutando i bambini del quartiere, offrendo un momento di aggregazione e di cultura, permettendo al quartiere di conoscersi e piacersi, per riuscire a non sentirsi periferia, mondo "altro", mondo morto.

"Il gruppo attualmente è composto da circa trenta soci/e volontari/e e 10 volontari/e non ancora associati/e (di età compresa tra i 17 e i 55 anni), che si alternano nelle numerose attività, motivati da un'idea di volontariato non assistenziale ma presente in maniera critica nella compagine sociale", recita in home page il sito del Gapa (Benvenuti sul sito dell'Associazione G.A.P.A.), "... attraverso un lavoro diretto con i minori e le famiglie, e politica per la rivendicazione, insieme agli abitanti, dei tanti diritti negati attraverso incontri, denunce pubbliche sulle disfunzioni cittadine e manifestazioni di protesta". E ancora "Le attività del gruppo in questi anni hanno essenzialmente riguardato 3 aree: una diretta al lavoro con i minori, una diretta alle famiglie e il quartiere in generale, una diretta alle relazioni con istituzioni e associazioni del territorio e non. E' evidente che le tre aree sono state e sono molto intrecciate tra loro (...) l'organizzazione di una manifestazione di protesta in una discarica abusiva del quartiere ha previsto un lavoro diretto con i minori per costruire aquiloni, per dipingere magliette con le scritte di protesta..., un lavoro con le famiglie e il quartiere di sensibilizzazione al problema, un lavoro di raccordo e di collaborazione con le altre forze del quartiere per una rivendicazione comune".
Fin qui il Gapa. Una serie di attività e iniziative il cui scopo è essenzialmente il miglioramento delle condizioni sociali, in maniera del tutto volontaria.
Idee positive e propositive, da appoggiare e da incentivare.
Idee spesso scritte sulla carta: da anni il Gapa è la sede del periodico "I Cordai", testata di quartiere letta anche nel resto della città e consultabile online (iCordai - Associazione G.A.P.A.). Una testata che segnala, denuncia, parla e fa parlare i bambini del quartiere, grazie al laboratorio del fumetto, nello spazio "I Piccoli Cordai".
Evidentemente non tutti pensano che "Cordai" e Gapa siano attività positive. Quanto segue è l'articolo che chiude il numero di gennaio di quest'anno. Noi lo riproponiamo per i lettori di Urbanfile.
Foto di Domenico Pisciotta.
(Fonte)
A Capodanno, a San Cristoforo si spara per festeggiare. Le strade del quartiere sono disseminate da centinaia di proiettili a salve, calibro 7.65 e pallettoni da caccia 77 o 70 mm. C’è un luogo che ogni anno subisce le conseguenze di questi festeggiamenti, l’ufficio postale di via Plebiscito. Alcuni colpi di pistola sono stati sparati contro la vetrata e la porta dell’ufficio postale. Per non lasciar le cose a metà, alcuni giorni dopo, lo stesso ufficio è stato luogo di una rapina.
Durante i festeggiamenti per il nuovo anno, qualcuno ha pensato bene di coinvolgere anche il GAPA, sede de I Cordai e centro di volontariato che da venticinque anni lavora con le bambine, i bambini e le famiglie del quartiere. Tre proiettili sono stati esplosi contro la sede del centro; uno ha rotto una finestra, gli altri due hanno forato una porta di metallo. La sede, nell’occasione, non era aperta.
I proiettili hanno attraversato l’intera aula, adibita a biblioteca, la quale durante la settimana è impiegata per il doposcuola, il corso di fumetti e i vari laboratori. I due proiettili hanno prodotto due fori sulla parete interna dell’aula e hanno sollevato, in noi, numerosi interrogativi.
Perchè colpire il Gapa? Quale messaggio nasconde quest’aggressione? Quali intenzioni hanno armato la mano di chi ha sparato? Interrogativi che inquietano, allarmano e rimandano a paure che si ritenevano superate, ma che, invece, riemergono, come un fuoco che covava sotto la cenere da tempo. Domande che, con molta probabilità, rimarranno senza risposta.
Le paure vanno, ad ogni modo, superate, non per coraggio o eroismo ma per l’importanza della posta in palio. In gioco, vi è la sopravvivenza di un idea, di un sogno che da venticinque anni vive il quartiere di San Cristoforo. I danni si riparano; la finestra e la porta si cambiano. Rimane il gesto, che pur lasciando perplessi e incerti sulla sua natura e sul suo significato, al tempo stesso, impone, a tutti noi, di continuare, come sempre, le nostre attività. Sicuramente, sarebbe stata più gradita una cartolina d’auguri, ad ogni modo buon anno a tutti.

Una testata, dicevamo, che parla. Forse, per qualcuno, parla troppo.

venerdì 18 gennaio 2013

Quella pietra senza nome

Con questo nuovo contributo vogliamo far luce su un'altra storia che la città racconta; una di quelle storie che rischia di cadere nell'oblio, se non adeguatamente ascoltata.
La storia che tratteremo lega insieme avvenimenti, quartieri e monumenti in un amalgama che Catania è usuale regalarci, così ci lasceremo trasportare dal racconto che essa ha da offrirci.


La chiave del racconto stavolta è una roccia, un macigno di lava, cui le sapienti mani umane di un tempo indefinito diedero forma di cilindro. Si tratta forse di un capitello romano, il cui stile non è facilmente identificabile (tuscanico? ionico privo di volute? pseudo-egittizzante?), la cui storia ci è nota con certezza soltanto a partire dalla prima metà del XVI secolo.
Siamo nel 1516 e la Sicilia è da circa un secolo sede di Viceré.
La stabilità politica del Regno è fortemente compromessa, e la morte del re Ferdinando II d'Aragona, detto il Cattolico, non rende le condizioni più stabili. Al trono sale Giovanna, detta la Pazza, come tutrice del figlio Carlo, futuro imperatore. La Sicilia, resa provincia spagnola, approfitta del momento di instabilità politica per proclamare la propria autonomia e l'occasione la fornisce il medesimo viceré Ugo di Moncada, valenziano, il quale ottenne la carica per privilegio dopo aver combattuto valorosamente per Ferdinando. Gli sarebbe dovuto succedere Ettore Pignatelli, ma il di Moncada rifiutò le dimissioni. Le alte nobiltà isolane approfittarono della situazione appoggiando il viceré uscente sperando così di incoronarlo re di Sicilia e staccarsi quindi dal dominio spagnolo. Inoltre, appoggiando il futuribile re, avrebbero ottenuto notevoli poteri e concessioni che i sovrani d'Aragona debellarono nel secolo precedente.

Si scatenò una sanguinosa guerra civile che coinvolse l'intera Isola, durata ben tre anni. Catania fu tra le città più agguerrite, probabilmente perché il sistema del viceregno tolse alla città anche il privilegio di capitale. I ribelli si davano appuntamento in un giardino che si trovava presso al piano dei Trixini, ossia “i Terzi”, dove si trovavano i ruderi di quello che non si ebbe difficoltà a riconoscere quale tempio pagano del glorioso passato della città. Tra questi vi erano anche il capitello di cui sopra e un grosso frammento di architrave, entrambi di lava.

Uno dei ribelli tradì i compagni (probabilmente si trattava di una spia, di un infiltrato), i quali, una notte in cui si sarebbero dovuti riunire presso l'antico capitello, trovarono ad attenderli i soldati reali i quali uccisero dal primo all'ultimo tutti coloro che giunsero all'appuntamento. Gli arrestati, non presenti sul posto quella notte, finirono l'indomani sulla forca.

Il capitello, bagnato dal sangue ribelle, prese facilmente il nome di “Pietra del Malconsiglio”, poiché consigliò male i seguaci del di Moncada a darsi appuntamento quella notte.

Il viceré dimissionario, sconfitto dopo tre anni di lotte, ottenne comunque il perdono da re Carlo per i servizi dati alla corona in passato e dal 1522 sarà generale dell'esercito reale. Nel 1527, di Moncada sarà nominato sul campo viceré di Napoli, per fronteggiare i francesi che assediarono la città partenopea. Genova, alleata con la Francia, bloccò i rinforzi con un blocco navale e il viceré affrontò eroicamente la marina avversaria andando incontro alla morte nel 1528.

Nominalmente dal 1517, Ettore Pignatelli fu viceré di Sicilia fino al 1535, sedando nel sangue i tumulti residui.
L'area su cui sorgeva il piano della Fiera, alle spalle della Collegiata.
Si affaccia su di essa il negozio Frigeri (1909) di Tommaso Malerba.
Il capitello venne traslato al Piano della Fiera – il quale si trovava dove oggi è lo slargo alle spalle della chiesa di Santa Maria dell'Elemosina, regia Cappella detta la Collegiata – come monito solenne alla città e ai ribelli non ancora identificati; l'architrave fu posto nella Platea Magna (grossomodo l'attuale piazza Duomo) all'ingresso della Loggia e venne usata per legare i debitori insolventi da frustare. Quest'ultimo pezzo finì nel cortiletto dell'antico monastero di Santa Maria di Nuovaluce, demolito per realizzare il teatro massimo Vincenzo Bellini, ma sebbene molte guide e manuali storici su Catania riportino ancora tale ubicazione, lì di tale frammento non resta più traccia e mancando una descrizione accurata del manufatto non siamo in grado di stabilire oggi dove si trovi. Tuttavia conosciamo un frammento in pietra lavica, costituente la chiave di un grande frontone di un edificio scomparso e ignoto che si addossa alla Torre del Vescovo a fare da base per la venerata Madonna di Lourdes, presso via Antico Corso.

Non abbiamo la presunzione di identificare in questo blocco la pietra perduta, ma è piuttosto significativo che essa non venga menzionata da alcun ricercatore del passato, nonostante la sua notevole mole e il suo fregio.
Chiave di timpano addossato alla Torre del Vescovo.
La sua provenienza ci è ignota.
Del capitello invece sappiamo che dal 1872 tornò dove un tempo vi era il piano dei Trixini, all'interno del secondo cortile del Palazzo Carcaci, l'angolo nord-orientale dei Quattro Canti.

Il piano dei Trixini (Triscini) si trovava dove oggi si incontrano le vie Etnea e Antonio di Sangiuliano e prendeva il nome dalla chiesetta di San Nicola dei Terzi, detta appunto dei Trixini, ossia i frati minori di terzo ordine secondo il siciliano medioevale. La chiesa esiste ancora, nell'angolo sud-occidentale, e viene (venne?) chiamata dai catanesi San Nicolella o addirittura Santa Nicolella, al femminile, diminutivo spropositato di San Nicola, per distinguerlo dalle chiese omonime la Rena e al Borgo.
Portale della chiesa di San Nicola ai Trixini.
La chiesa dei Trixini sentì pesantemente il bombardamento del luglio del 1943. Il convento ne uscì provata e la ricostruzione vide la realizzazione di un più anonimo edificio a più piani sostituire l'antica chiesa di origine medioevale, un pugno nell'occhio del centro storico, oggi sede di uffici e di un celebre quotidiano.

Si recuperò dalla chiesa un bel portale di primo barocco, forse del primissimo Seicento. Tale portale fu inglobato nella (ri)costruenda chiesa di San Sebastiano in piazza del Castello, oggi Federico di Svevia, nel 1955.
La chiesa di San Sebastiano (prospetto del 1955).
Portale del San Nicola ai Trixini.Particolare della lapide che ne ricorda la provenienza.
Sul piano dei Trixini si affacciava anche un magnifico edificio del primo Barocco catanese post-sismico: il palazzo Massa di San Demetrio. Questo fu nel 1694 il primo edificio completato dopo il terremoto del Val di Noto e il primo della ricostruzione post-bellica. Durante la ricostruzione fu la cittadinanza a chiedere a gran voce che l'edificio tornasse com'era prima del bombardamento, forse l'unico caso in cui i catanesi si ribellarono allo stravolgimento del centro storico per una cementificazione selvaggia che dagli anni dello strapotere della DC è imposto a Catania, quanto altrove in Sicilia, al punto da ottenere il rispetto per il decoro precedente.
Lapide di rifondazione del Palazzo Massa di San Demetrio. Vi è riportato l'anno 1694.
Il palazzo dei duchi Paternò Castello di Carcaci sorse l'indomani del sisma del 1693 su un tratto delle mura nord-orientali le quali influiscono sulla struttura interna dell'edificio. Costituito da due cortili ben pavimentati a grossi blocchi di basole laviche e ciottoli, il palazzo fu completato da facciate neoclassiche, mentre gli interni conservano un gusto vagamente medioevale, dettato forse più dalla necessità di costruire in fretta l'edificio riciclando quanto già esistente che per gusto: era infatti costume catanese completare anzitutto la facciata, per poi dedicarsi piano alla volta alla rimodulazione degli interni. Uno scalone neoclassico concedeva, dal lato meridionale del braccio che divide i due cortili, l'accesso al piano superiore; la volta dello scalone venne dipinta con un trompe-l'oile rappresentante trofei e le armi dei duchi Paternò Castello di Carcaci.
Ingresso su via Etnea.

Pavimento in acciottolato.
Vincenzo Paternò Castello, primo duca di Carcaci, sullo scalone d'ingresso.
Nel cortiletto interno, il quale aveva ingresso indipendente sulla piazza Manganelli, si affacciavano fino a metà Novecento alcune botteghe, tra cui quella di un fotografo di cui rimane un intricato ingresso. Qui, nell'angolo nord-ovest, era deposto il capitello, la Pietra del Malconsigio, la cui storia ricordava un triste capitolo della vita passata della città. Chi scrive ebbe modo di vederlo ancora lì prima della sua scomparsa.
Rustica del palazzo Carcaci. Nell'angolo basso a destra era dimenticata la Pietra del Malconsiglio.
L'arco riecheggia lo stile gotico-catalano di Sicilia.
Gli inquilini di Palazzo Carcaci si avvicinano curiosi.
Una vecchia bottega di fotografia in legno, in un dedalo di architetture degno di Escher.
Un giorno imprecisato, intorno al 2009, il capitello infatti venne trasferito, senza notizia, senza avviso, chissà dove.

Lo incontrammo per caso a fare da piantone all'ingresso del Castello Ursino, per singolare coincidenza a fronteggiare la porta della chiesa di San Nicola dei Trixini, come dovette già fare nel 1516. Ecco allora la Pietra del Malconsiglio, sottratta al suo luogo d'origine e posta dove potrebbe avere rispetto: in un museo, anzi, nel Museo Civico, il contenitore per eccellenza della memoria storica della città.
Ma.
Ma come tutti gli altri reperti che ancora si trovano in balia degli elementi nel cortile e hanno anche loro mille storie da raccontare (chissà che non riusciremo ad udirne per il lettore alcuna), si trova all'aperto, senza protezione da possibili vandalismi, senza nemmeno una targa o un cartello che, almeno questo, restituisca al manufatto il suo nome e con esso la sua – seppur tragica – storia.

Lanciamo quindi un'altra provocazione, denunciando l'assenza di una corretta segnalazione per un bene patrimoniale di notevole importanza per la storia di Catania, una città che un tempo si faceva ascoltare.

mercoledì 9 gennaio 2013

Illuminazione artistica compromessa nel cuore della città

Piazza Duomo, piazza Università, via Etnea da porta Uzeda sino alla storica gioielleria Avolio: il cuore del centro storico di Catania è questo, indubbiamente, comprendente alcuni dei monumenti e degli edifici più significativi della città. Da Porta Uzeda a Palazzo Sangiuliano, dalla Cattedrale al Siculorum Gymnasium, dalla Fontana dell'Amenano a Palazzo degli Elefanti, e poi ancora Palazzo dei Clerici e la Fontana dell'Elefante, il Liotro: tutto in pochi metri.
Non a caso, negli ultimi anni, quest'area di Catania è stata gradualmente ripavimentata, interdetta al traffico e dotata di una suggestiva illuminazione artistica. E qui casca l'asino, purtroppo: i faretti inseriti nella pavimentazione, posti a illuminare dal basso le lesene dei grandiosi edifici settecenteschi, sono quasi tutti distrutti o non funzionanti. In alcuni casi, addirittura, tappati con catrame.

Palazzo degli Elefanti, prospetto est. Faretto tappato con una lamiera

Palazzo degli Elefanti, prospetto sud. Tutti i faretti su questo lato sono occlusi con catrame

Palazzo di Piazza Duomo, lato ovest: faretti distrutti,
complice la sosta dei taxi che hanno l'area riservata in via Vittorio Emanuele II ma che parcheggiano in piazza Duomo

Palazzo dei Clerici, prospetto nord: faretto distrutto

Palazzo dei Clerici, prospetto nord: faretti tappati con catrame

Palazzo dei Clerici, prospetto nord: ancora un faretto "morto"

Palazzo dei Clerici, prospetto est: faretti "mai nati", con i fori riempiti di cemento al posto delle lampade

Piazza Duomo, Palazzo dei Clerici:
la continua sosta di mezzi (autorizzati?) nell'area pedonale mette a serio rischio i pochi faretti sopravvissuti


In una città a vocazione turistica l'immagine è importantissima. Avere un impianto del genere e non mantenerlo in uso efficacemente è un peccato; che il Comune provveda: è chiaro che è necessario sostenere una spesa di ripristino, ma sarebbe un investimento per migliorare il volto della città per i suoi cittadini e i turisti.

Quando i fari funzionavano: a destra il prospetto est di Palazzo degli Elefanti

Quando i fari funzionavano: sulla destra il Palazzo dei Clerici illuminato


Nel medio termine ci piace immaginare che tutta via Etnea, ma anche via Crociferi e il Castello Ursino, ad esempio, possano essere illuminate a dovere, magari in collaborazione con privati (sponsor) o con commercianti e titolari delle attività di ristorazione. Catania come San Pietroburgo: un sogno o possibile realtà? Il colpo d'occhio sarebbe fenomenale.

A San Pietroburgo tutti i prospetti dei palazzi delle vie principali del centro sono illuminati dal basso


domenica 6 gennaio 2013

Dissuasori, una battaglia persa?

Di dissuasori a protezione di zone a traffico limitato, aree pedonali o semplicemente passaggi pedonali e rampe per disabili abbiamo già scritto più volte: su piazza Cutelli, sul centro storico in generale e su piazzale Oceania e Corso Italia.
Il Comune sta compiendo degli sforzi, nelle ultime settimane ne sono stati collocati di nuovi e altri sono stati collocati meglio: tuttavia la situazione è ancora lontana dall'essere ottimale e ci ritroviamo a denunciare ancora interventi da compiere o da migliorare, sperando di dare così un utile contributo al Comune e alla città tutta.

In via Michele Rapisardi, all'incrocio con via Antonino di Sangiuliano, un dissuasore in pietra bianca è stato distrutto.

In via Landolina, all'innesto su piazza Vincenzo Bellini (Teatro Massimo per i catanesi), i dissuasori sono stati nuovamente spostati e il varco è praticamente spalancato:



In piazza Cutelli, i dissuasori su via Vittorio Emanuele II, pur già oggetto di un più accurato ancoraggio, sono nuovamente spostati per permettere il passaggio illecito ai veicoli.


Nella stessa piazza, provenendo da via Porta di Ferro, i dissuasori sono ancora posti lateralmente col risultato che le macchine continuano a entrare in piazza e a utilizzarla come parcheggio, danneggiando la pavimentazione e la bordatura in pietra lavica delle aiuole. Eppure in piazza non ci sono passi carrabili (esiste un cancello con un malconcio segnale di divieto di sosta, ma è abusivo):


Piazza Cutelli ridotta a parcheggio
Con la recente apertura della nuova, grande moschea proprio ad angolo con la piazza, su via Porta di Ferro, si potrebbe pensare di estendere l'area pedonale anche in questo breve tratto di strada (che sulla carta è un vicolo cieco, inutile ai fini viabilistici) ponendo i dissuasori a protezione del lato sud della piazza all'incrocio con via Aparo: si prenderebbero due piccioni con una fava.

Il breve tratto di via Porta di Ferro compreso tra piazza Cutelli e via Aparo, di fronte la moschea


Ci auguriamo che possano essere presi gli accorgimenti necessari, in queste aree e nelle altre già citate e suggerite in un precedente intervento di questo blog (qui).
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