Contattaci

Se hai segnalazioni o curiosità inerenti a Catania, scrivici all'indirizzo: info@urbanfile.org

domenica 30 dicembre 2012

Campane... stonate in piazza Università


Hanno fatto capolino in piazza Università ben quattro, grandi campane verdi per la raccolta differenziata del vetro. Una buona notizia, di per sé, visto che in centro storico ce ne sono poche e la zona pullula di pub e bar che forniscono continuamente gli avventori di bevande in bottiglie di vetro, che spesso poi finiscono direttamente nell'indifferenziato (quando non per terra, disdicevolmente).

Tuttavia ci sentiamo di suggerire al Comune di spostarle tutte: pochi metri saranno sufficienti. 

Sono state collocate, infatti, di fronte ai magnificenti prospetti del Palazzo Centrale dell'Università e del Palazzo Sangiuliano; in questo caso una è addirittura a fianco dell'accesso principale centrale. 


L'ingresso principale del Palazzo Sangiuliano e la nuova campana a fianco 

Campana di vetro collocata sopra il faro che dovrebbe illuminare il prospetto del Palazzo Sangiuliano


È chiaro che piazza Università, una delle più belle del centro di Catania, è un gioiello architettonico continuamente apprezzato da cittadini e turisti e che la presenza ingombrante di queste pur utilissime campane verdi danneggia l'immagine di questo prezioso spazio urbano. Pertanto sarà sufficiente ricollocarle a poca distanza, magari proprio all'inizio delle traversine che conducono nella stessa piazza.

sabato 29 dicembre 2012

Quei nani da giardino... metropolitani

Piazzale Oceania, Catania. A due passi da piazza Europa e da viale Jonio: un'area prospiciente il mare, in particolare il porticciolo turistico Rossi, il Caìto, nei pressi della stazione Galatea della metropolitana e della futura stazione Europa del passante ferroviario urbano. Un tempo anche ricca di palme, oggi purtroppo decimate (ma non è una novità, a Catania) dal punteruolo rosso. Un'area, dunque, di potenziale pregio, area pedonale estesa e ricca di verde (sulla carta), dove poter fare una piacevole sosta durante le passeggiate lungo la costa. E in effetti, carenza di decoro urbano a parte, non è che sia messa poi così male, anche se spicca l'assenza di illuminazione notturna, grave pecca: fino a qualche anno fa era garantita da molti paletti-punti luce, ormai scomparsi o non funzionanti. Speriamo che venga ripristinata quanto prima.

Ma salta all'occhio una "presenza" particolare: una quindicina di dissuasori, che qualche street artist ha decorato e pitturato di vestiti e volti, sono sparsi qua e là, inutilmente. In una città dove sono diffusissimi sosta selvaggia e accesso illecito alle zone pedonali o a traffico limitato, appare uno spreco: perché non prenderli e ricollocarli dove ce n'è bisogno? Via San Giuseppe al Duomo, via Crociferi, via Zolfatai, marciapiedi di Corso Italia, e chi più ne ha più ne metta: c'è solo l'imbarazzo della scelta.







Oltre che in piazzale Oceania, alcuni dissuasori sono posti nel tratto di spartitraffico che fu demolito in viale Africa, a poca distanza, quando fu aperta la svolta in concomitanza dei cantieri metro di piazza Galatea.
Uno squarcio che non ha più motivo di esistere: dovrebbe essere ripristinato lo spartitraffico arredato a verde con le banchine laterali.



Una sorpresa: tra marciapiede e isola ecologica sono nate spontaneamente delle palme del tipo Washingtonia. È chiaro che qui non hanno futuro, gli operai del comune potrebbero prelevarle con cautela per ripiantarle nelle aiuole, oggi così spoglie, distanti appena pochi metri. Sarebbe un'operazione semplice, veloce e a costo zero.


Il Comune è stato da noi informato, attraverso gli uffici competenti, sia riguardo i dissuasori che riguardo le palme: attraverso questo post, inoltre, si porterà a conoscenza anche dell'assenza di impianto di illuminazione funzionante. Auspichiamo quanto prima provvedimenti.

mercoledì 26 dicembre 2012

Santo Stefano: ovvero sulla comunità greca di Catania

Carlo Crivelli, Santo Stefano (1476).
In un precedente articolo (Un tetto per pregare: la lunga storia della Moschea della Civita) abbiamo sintetizzato brevemente una storia relativa alla poco conosciuta comunità islamica catanese del passato, il cui principale quartiere è stato a lungo ritenuto presso l'odierna Civita.
In tale occasione abbozzavamo anche un riferimento alla comunità greco-ortodossa cittadina che, seppur poco documentata anch'essa, dovette esistere anche dopo la conquista Normanna e la relativa imposizione del culto latino. Con questo nuovo articolo non abbiamo la presunzione di dare un contributo alla ricerca storiografica su Catania, ma vogliamo ancora una volta partire da lontano per accennare ad un evento di – relativa – attualità che, speriamo, non mancherà di suscitare nel lettore una piccola nota di compiacimento.
Il primo culto cristiano in Sicilia si vuole nientemeno che all'apostolo Paolo che giunse sull'Isola con intenti di proselitismo. Un precoce fenomeno si avrebbe a Messina con una lettera – mai riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa – inviata personalmente da Maria ai messinesi (che la venerarono quindi come Madonna della Lettera). A Catania è Berillo a portare, nel lontano 42, il culto.
San Berillo (1736), statua marmorea a coronamento della facciata della Cattedrale.
Poco conosciamo di questa personalità, se non la sua origine da Antiochia e la sua nomina a vescovo da Pietro in persona. Al primo vescovo catanese, in seguito santificato, si dedicò una chiesa e relativo quartiere a Catania, celebre più per notizie poco felici (i quartieri a luci rosse, lo sventramento del '54, le condizioni disumane presso i campi nomadi spontanei etc.) o per i progetti di risanamento (vedi, tra gli altri, i nostri articoli Corso Sicilia, AAA Verde cercasi e Corso dei Martiri della Libertà, è arrivata l'ultima firma: presto le ruspe in azione) che per la memoria del santo.
Notizie più approfondite ci giungono dal III secolo in poi: nel periodo di massima romanizzazione della città si registra anche un notevole aumento della diffusione del culto. Oltre Agata, la santa patrona della città, emergono Euplio, Everio, Comizio, Serapione, Magno, Secondino e altri. Costoro testimoniano certamente un aumento del numero dei cristiani catanesi.
Il dato archeologico permette l'acquisizione di elementi più precisi a partire dal IV secolo, dopo quindi l'Editto di Costantino che permise il libero culto ai Cristiani. Appartengono a questo periodo le prime tracce certe dell'arte paleocristiana, in particolare le numerose necropoli situate a nord delle mura, nonché l'epigrafe di Iulia Fiorentina, bambina sepolta presso il “sepolcro dei martiri catanesi”, indice diretto della presenza alla fine del IV secolo di un martyrion a Catania.
Epigrafe di Iulia Fiorentina.
Una incognita piuttosto singolare è costituita dal sito archeologico delle Terme della Rotonda. In antico si credette di riconoscervi un pantheon pagano convertito al culto cristiano nel 42 da Pietro, almeno fino alla conferma che le strutture più antiche appartennero a strutture termali (Libertini) e del chiarimento che l'alzato appartenga ad un periodo certamente più tardo di quanto la tradizione non voglia da parte degli studi più recenti. Potrebbe venire messa in dubbio persino l'originaria funzione di chiesa, visti i plausibili confronti planimetrici con altre strutture. L'abitudine di edificare chiese sfruttando le preesistenze termali non si limitò alla Rotonda, ma coinvolse anche altri edifici di culto come la cappella che venne eletta a nuova Cattedrale di città, risalente al VI secolo e ritrovata al di sotto del presbiterio dell'attuale Duomo.
Nel corso del VI secolo il Cristianesimo appare la religione dominante in città, stando anche ai carteggi di Gregorio Magno che – per la tradizione – fondò il monastero di Sanctae Mariae Novalucis presso le mura. L'archeologia può confermare la diffusione del culto grazie alle numerose necropoli attestate per i secoli dal IV al VII. Dai titoli delle chiese più antiche appare evidente la diffusione del culto orientale, nulla di strano essendo la Sicilia ancora fino al 965 un thema bizantino, ancor meno strano considerando poi la presenza dell'Imperatore Costante II a Siracusa nel 668.
La presenza di una Porta Ariana in città, sostituita dalla Porta della Decima, e la figura di Leone II detto il Taumaturgo (celebre iconoclasta) tradiscono una certa presenza di eretici in Catania i quali dovettero certamente scontrarsi con il detto Leone, figura fortemente ortodossa e rigorosa.
Matteo Desiderato, San Leone taumaturgo che sconfigge il mago Eliodoro (seconda metà del XVIII secolo).
Il culto greco quindi appare dominante e si ipotizza che, nonostante la dominazione degli emiri Musulmani (uno di essi, Ibn al Maklati, residente a Catania) e l'arrivo in massa degli Ebrei di “seconda generazione” (i cosiddetti Mori, in quanto provenienti da paesi medio-orientali o nord-africani), il culto cristiano orientale avesse una notevole linfa vitale anche nel IX e nel X secolo. A riprova di ciò appaiono i nomi dei vescovi Eutimio, Costantino, Antonio, Leone III, Umberto, tutti testimoniati durante la conquista e la successiva riorganizzazione amministrativa islamica.
Un caso anomalo è costituito dalla chiesa del Salvatorello, un edificio a trifoglio identificato quale luogo di culto cristiano, orientato però a nord piuttosto che ad est (diversamente da quanto ci si possa aspettare) e presentando soluzioni tecniche di matrice non cristiana, come le colonne alveolate. Diverse ipotesi collocano variamente la realizzazione dell'edificio al VII-VIII o al IX-X secolo. L'impostazione in pianta ricorda molto da vicino il Triclinium romano, ma l'elevato tradisce soluzioni tecniche decisamente innovative.
Interno della Cappella Bonajuto in una gouche di Jean-Pierre Houel (fine XVIII secolo).

Planimetria dell'edificio (Agnello, L'architettura bizantina in Sicilia).
La crisi del culto greco, per assurdo, avviene solo a seguito della riconquista cristiana avvenuta con i Normanni, gli “uomini del Nord”, che vada piuttosto letta come un tentativo da parte di Roma quale dimostrazione della sua superiorità tra i Patriarcati, in particolare su Bisanzio, rea di aver rifiutato un confronto e aver causato il longevo scisma.
In Sicilia è tangibile una certa intolleranza da parte delle comunità cristiane nei confronti del nuovo invasore, molto più che da parte di quelle islamiche o ebraiche. Il Val Demone appare quello di più difficile gestione, al punto da essere l'unica entità territoriale a mantenere – almeno nominalmente – quelle figure bizantine quali l'archimandrita, il catepano, lo strategoto. Catania era situata entro il confine di detto Vallo, ma qui la diatriba tra i due culti si accese vivacemente al momento della istituzione della nuova diocesi retta da Ansgerio. L'elemento latino fu dunque impostato a Catania quale baluardo del Patriarcato di Roma, mentre ancora nell'entroterra persistevano i retaggi del culto orientale. Un buon compromesso sarebbero stati poi gli ordini eremitici, in particolare quello Benedettino, che accoglievano indistintamente membri delle due forme di culto, latina e greca, assorbendo quest'ultima.
Lapide di fondazione della Cattedrale (latina) di Catania (1094).
In città il culto per Agata giustificò un “sentire comune”, così il tempio principale – originariamente sarebbe dovuto essere dedicato a Maria – fu sede del culto della giovane catanese morta sotto Quinziano. Ma esistevano ancora alcune tracce del culto greco, attestato in modo del tutto inusuale ancora nel XII secolo.
Uno di questi è il controverso tempio di Santo Stefano, demolito nel 1355 per l'ampliamento del convento di San Benedetto ricavato nella casa del conte di Adernò, da quell'anno sede del piccolo convento delle Benedettine. Di questa chiesa, eretta in luogo – si dice – del vetusto tempio di Esculapio (la notizia appare piuttosto inverosimile, vista la natura suburbana dei santuari dedicati al dio della Medicina in antico), rimasero la porta di fronte alla facciata della settecentesca chiesa di San Benedetto, l'altare maggiore e una lapide ricordante data di erezione e mandante. Su questa lapide, secondo la storiografia antica che si appoggia a una certa tradizione che vede tal Arcadio quale costruttore, sarebbe riportata la data di costruzione quale 1° luglio 679. Ad una più attenta analisi moderna (Boschi-Guidoboni 2000) invece si tratterebbe della data bizantina 1° aprile 6679 (dalla Creazione), ossia il 1171, e si tratterebbe della rifondazione da parte di Arcadio. La lapide purtroppo venne distrutta durante il bombardamento alleato del 1943 e di essa conosciamo solo il rilievo che ne fece nel Settecento Vito Maria Amico. Tuttavia, se fosse confermata l'interpretazione odierna, avremmo una serie di dati non trascurabili. Anzitutto la dedica a Stefano protomartire chiarifica un forte legame col culto greco, confermato dal conteggio bizantino degli anni. Questo sarebbe dunque un indice di sopravvivenza della comunità greca anche sotto Guglielmo II, dunque per tutto il periodo normanno della città. La sua centralità, in un sito di estrema importanza per il culto civico (la memoria storica di una via sacra che univa la piazza pubblica con l'acropoli) al punto da attirare nel 1555 l'interesse dei Gesuiti, ma in anni precedenti anche francescani, cassinensi e altri frati minori, fornisce un indizio relativo al peso politico che la comunità cristiano-orientale aveva per la città. Non a caso la patrona di Catania è una martire dei primi secoli, venerata da entrambe le parti religiose. La presenza del culto dell'Odighitria a nord-ovest tempio della Rotonda ad ovest e della vecchia sede della cattedra, la Vetere a nord che ricordiamo subì un notevole declassamento con l'erezione della nuova cattedrale a sud, ci permette di ipotizzare che il quartiere compreso tra le attuali vie Antico Corso, Manzoni, Cappuccini e Teatro Greco fosse a maggioranza greca.
Riproduzione della lapide di fondazione della chiesa di Santo Stefano nella riproduzione dell'Amico.
Vi sarebbe scritto: "Fu (ri)costruita questa divina molto veneranda chiesa del martire, primo negli affanni, e protodiacono Stefano, per opera del sacerdote Arcadio il primo giorno del mese di aprile, nell'anno 6679" (Boschi-Guidoboni 2001).
Facciata della Badia piccola. Sorge sui resti del Santo Stefano.

Nel 1239 inizia la costruzione del maniero federiciano di cui abbiamo in parte avuto modo di trattare in precedenza. Sulla faccia della torre delle bandiere (nord-ovest) vi è realizzato a mosaico, oltre ai menorah ebraici, il segno della croce nel cerchio con quattro punti nei quadranti. Si tratta della croce solare unita alla croce di Gerusalemme. Analogamente a quanto avviene dal III al VIII secolo riguardo il Cristogramma (impropriamente detta Croce di Costantino e formata dalle lettere greche Χ e Ρ), l'inserimento all'interno del cerchio rappresenta il riconoscimento della natura spirituale del Cristo, a differenza del quadrato che ne denota invece una natura terrena. Il simbolo rilevato dunque apparterrebbe non solo ad una comunità greca operante a Catania nel secondo quarto del XIII secolo, ma potrebbe anche testimoniare il perdurare delle comunità religiose altrove in Sicilia ben documentate sin dal IV secolo.
Decorazioni musive al Castello Ursino: Croce greca e Menorah.
Le testimonianze dei “Greci” di Catania sfumano poi durante il XIV secolo, dopo gli eventi della Guerra del Vespro. Una chiara dimostrazione sta proprio nella detta chiesa di Santo Stefano Protomartire, demolita senza troppi problemi per far spazio alle monache di San Benedetto, pertanto essa dovette già essere abbandonata e forse pericolante. Altre chiese vennero rimaneggiate, adeguate a nuove forme di culto o divennero sede di nuovi ordini religiosi più tipicamente occidentali (Teatini, Agostiniani, Minori etc.). Il caso della Rotonda è piuttosto evidente, con la chiusura del deambulacro settentrionale, l'apertura dell'ingresso a ovest (come più tardi sarà fatto per la chiesa del Salvatorello), l'adattamento ad altare principale del nicchione orientale. La chiesa dell'Odighitria, pur mantenendo il titolo, viene ricostruita in pianta longitudinale poco oltre i ruderi della chiesa originale (distrutta dal sisma del 1169 e anche questa eretta sui ruderi di un antico bagno).
Rudere della chiesa di Santa Maria Odighitria (VI-VII secolo?), oggetto di vandalismi.
Appare evidente che non c'è spazio per il culto greco in quel XIV secolo siciliano, diviso tra le fazioni catalana e latina, entrambe portatrici di culti occidentali. Si può ipotizzare che parte dei chierici orientali si fosse già da tempo adattato alla convivenza entro l'ordine di San Benedetto, il cui protettore Nicola è indubbiamente tra i santi più venerati in Oriente. A questo proposito è bene ricordare quanto il nome Nicola sia particolarmente diffuso nella Sicilia medioevale, sintomo di una discreta resistenza o perlomeno di una lontana eco delle comunità greche. Un caso degno di menzione è la figura leggendaria di Colapisci (Nicola il Pesce), il cui nome è generico volutamente, così che chiunque possa pensarne una veridicità perché tra i tanti che si chiamano in tal modo ce ne può essere stato uno così straordinario da vivere come un pesce, appunto. Inoltre l'aderenza con un nome diffuso permette anche l'identificazione del personaggio con l'intera popolazione, assumendo dunque il ruolo dell'eroe classico che per catarsi assume su di sé le responsabilità dell'Uomo per salvarlo da fine certa.
Colapesce, nel candelabro di sud-est di piazza Università, opera del Lazzaro.
In altri casi le comunità greche riescono a sopravvivere nell'unico modo che dal tempo delle invasioni barbariche conoscono: si rifugiano nelle alture e si isolano in piccoli ambienti poco o per nulla accessibili. Alcuni di questi siti erano già occupati in età bizantina, islamica e normanna, in altre circostanze vengono fondati nuovi casali. Il caso emblematico di Trecastagni, il cui santo protettore è Nicola, sembrerebbe far parte di quest'ultimo caso. Alcuni dei siti che hanno restituito maggiore continuità di esistenza delle locali comunità greche si trovano quindi arroccati, in quello che dovette essere il Val Demone, ossia il territorio di Demenna, ultimo baluardo del potere bizantino durante le conquiste berbere. Qui si trovano magnifici esempi di un'architettura colpevolmente poco studiata e spesso erroneamente interpretata, come il caso della Cuba di Santa Domenica, edificio che tradisce una erezione più tarda a quanto si vorrebbe, la cui pianta appare evidentemente longitudinale piuttosto che centrale.
Chiesa di Santa Domenica a Castiglione di Sicilia (CT). Facciata.
Ma l'edificio che suscita il nostro interesse attuale è la chiesa di Santo Stefano Protomartire di Dagala del Re, un rudere datato dagli storiografi al V-VI secolo o al VII-VIII secolo, in pianta a trifoglio come la chiesa del Salvatorello a Catania, ma con orientamento ad est e priva di colonne alveolate. Questa dunque potrebbe essere precedente all'esempio catanese. Intorno al XIII secolo si dota di un ampio nartece che riprende in parte il gusto delle preesistenze, senza però rispettarne la volumetria. Può essere letto come un tentativo di riappropriazione degli edifici di culto orientale da parte delle comunità Greche? Appaiono pochi significativi dati in tal proposito. Il suo abbandono sarebbe databile al 1284, anno in cui una eruzione dell'Etna distrusse il casale sorto tutto intorno alla chiesa. L'edificio, non più mantenuto e curato, rovinò pietosamente e i suoi ruderi divennero presto un curioso agglomerato di pietre appartenenti ad un grande feudo coltivato, su cui qualche pastore che lo usava come rifugio poteva vederci qualche sparuto ed isolato affresco. Caduto nell'oblio della lottizzazione, il feudo cui appartenne passò a più mani e si trovò ad essere spezzettato e coperto da fabbriche sovente non coerenti. Il rudere appare facente parte di un giardino privato nel corso del XX secolo e solo negli ultimi anni il Comune di Santa Venerina ha nutrito interesse nei confronti di questo importante testimone della storia architettonica del territorio. A gennaio di quest'anno si sono potuti finalmente cumulare i 25 mila euro necessari all'acquisto del terreno e della chiesetta, con l'intento di renderla patrimonio pubblico, creare un parco intorno ai ruderi che vedrebbero nell'acquisto il recupero del documento storico (Dagala del Re, si recupera un pezzo di Storia).
Sezioni E-O e N-S della chiesa di Santo Stefano a Dagala del Re (CT) con ipotesi di ricostruzione. I rilievi sono del Lojacono (1960).
I ruderi della chiesetta bizantina come si presentano oggi (2013).

Il nostro pensiero vola rapido ai ruderi della chiesa paleocristiana di San Giovanni presso Palagonia, fino a non troppo tempo fa costretto alla spoliazione da parte di anonimi, ma oggi amorevolmente custodito e accessibile mediante un giardino privato ben tenuto. Sarà tardivo, sarà solo parziale e purtroppo incompleto, ma il recupero della memoria bizantina della Sicilia appare in crescendo.

_______________

Per maggiori approfondimenti sulla Cuba di Santo Stefano a Dagala si rimanda all'articolo La cella trichora di Santo Stefano e l'antico eremo di Dagala del Re, di Giovanni Vecchio.

lunedì 24 dicembre 2012

Nuovo spazio verde in viale Africa

E tre. Dopo viale Fleming e via Caronda, come promesso, un nuovo spazio verde è stato donato alla città da cittadini volontari di buona volontà (l'iniziativa, lo ricordiamo, è nata negli spazi virtuali del forum di architettura e urbanistica di Skyscrapercity.com e nella pagina Catania di Facebook, trovando poi accoglimento da parte di altri cittadini che si sono lasciati coinvolgere entusiasticamente).

Prima dell'intervento: lato via D'Amico

Prima dell'intervento: lato via Archimede. Il muretto di cemento, inutile residuo del cantiere precedente, favorisce l'accumulo di spazzatura.

Prima dell'intervento: al centro il pozzo dell'equilibratrice della metropolitana

Prima dell'intervento: una minidiscarica alla vista di avventori e turisti. Sullo sfondo, Le Ciminiere.

In quest'occasione prenatalizia, i cittadini tramutatisi in Babbi Natale dal pollice verde, hanno donato alla città, con le loro piante (Eleonora Messina in primis) e la loro manodopera, la riqualificazione di una grande aiuola abbandonata in viale Africa, in corrispondenza di una fermata della linea 443 dell'AMT, compresa tra via D'Amico e via Archimede. A pochi passi, dunque, dal centro fieristico culturale de Le Ciminiere e dal capolinea Giovanni XXIII dei bus extraurbani (nonché dalla futura, omonima stazione della metro). Luogo di intenso passaggio, dunque, di cittadini, pendolari, turisti.

Volontari / Babbi Natale in azione


Un luogo che fino a venerdì scorso offriva alla vista solo una distesa di sterpaglie e rifiuti e che adesso è risorto: preventivamente ripulito da una squadra di operai mandati appositamente dal Comune, il grande spazio che circonda il pozzo dell'equilibratrice della metropolitana, da sabato 22 dicembre 2012, ospita aloe, agavi, melograni, oleandri, yucche, cycas, palme washingtonia e perfino degli alberi di ulivo.

Dopo l'intervento

Dopo l'intervento

Dopo l'intervento

Dopo l'intervento. In primo piano un ulivo e, quindi, palme washingtonia e yucche

Dopo l'intervento

Dopo l'intervento

Dopo l'intervento

Dopo l'intervento

Dopo l'intervento. Lato fermata AMT

Dopo l'intervento

Dopo l'intervento

Dopo l'intervento. Sullo sfondo Le Ciminiere

Dopo l'intervento

Dopo l'intervento. Gli oleandri, crescendo, schermeranno l'apertura dell'equilibratrice della metropolitana


Una bella differenza, non c'è che dire. Certo, data la stagione i melograni si presentano per il momento spogli, ma la speranza è che possano attecchire bene e fiorire in primavera portando anche un bel tocco di colore.

Il lavoro di piantumazione è stato più arduo del previsto perché pochi centimetri sotto la quota del terreno sono stati rinvenuti numerosi residui di cantiere e lavori: reti di recinzione abbandonate, lamiere, conci di asfalto e di cemento. Segnale di una pessima usanza di alcune imprese che, anziché conferire il materiale a discarica, pensano bene di gettare in situ tali rifiuti per poi ricoprirli con la terra. Speriamo che in futuro ci sia maggiore attenzione, sotto questo punto di vista, presso i numerosi altri cantieri in città.

Ancora una volta, dunque, è stato uno spazio sorto "per caso" in seguito a lavori infrastrutturali ad essere stato recuperato e arredato a verde. Gli oleandri, in particolare, sono stati disposti in modo tale da schermare la visione del pozzo della metropolitana, ovvero un blocco di cemento con una grande grata di acciaio. Per raggiungere questo scopo, però, dovranno crescere.

Speriamo che il Comune riesca a far rimuovere l'inutile muretto di cemento sul lato di via Archimede, "avanzo" del cantiere della metro, che oggi ha l'unica, inopinata funzione di favorire l'accumulo di spazzatura oltreché di occultare lo spazio verde alla vista.

Buon verde Natale, Catania!


Buon Natale, Catania!

Il baluardo di Euplio


In un nostro recente articolo (Il sepolcro di Euplio) abbiamo trattato della cripta dove la tradizione vuole fosse stato rinchiuso il co-patrono di Catania, appartenuta alla chiesa extra moenia a lui dedicata.
Chiesa di Sant'Euplio Fuori le Mura.
Il lettore più preparato sa bene che quando l'intitolazione “fuori le mura” accompagna il titolo di una chiesa, è perché viene reso un necessario distinguo con la sua controparte “dentro le mura”, pertanto, se abbiamo fin qui chiamato la chiesa di Sant'Euplio (sostituita poi dalla omonima parrocchia eretta su progetto dell'architetto Leone il 21 giugno 1964, inaugurata da monsignor Bentivoglio, dove tra l'altro si conserva una preziosa statua rappresentante il Santo e datata al Cinquecento, risparmiata dal bombardamento alleato) extra moenia, è sottinteso che esistette pure una chiesa di Sant'Euplio intra moenia.
Questo nostro contributo vuole essere un tentativo per poter avanzare qualche ipotesi per una corretta localizzazione. Per farlo bisognerà tenere conto degli atti del martirio di Euplio.
Euplio, sappiamo, venne imprigionato – la tradizione identifica la cripta di cui sopra quale sua prigione – il 29 aprile del 304 e, dopo più di tre mesi, condotto nella piazza cittadina per un secondo processo, stavolta pubblico. Accusato di spergiuro nei confronti degli déi e delle leggi, venne condannato alla decapitazione in loco. L'esecuzione, avvenuta sotto gli occhi dei cittadini (tra i presenti si dice vi fosse anche l'allora vescovo, Serapione), fu eseguita a filo di spada su una pietra, detta dei martiri o del supplizio o di Sant'Euplio, che venne in seguito custodita nella chiesetta di Santa Barbara, i cui resti si addossano all'angolo nord-orientale della chiesa di Santa Maria Immacolata ai Minoritelli. Tale pietra andò perduta probabilmente dopo il sisma del 1693.
Ruderi della chiesa di Santa Barbara (XII secolo?).
Il luogo del martirio fu quindi una pubblica piazza, chiamata forum Achellis (Foro di Achille), secondo alcuni perché vi si onorava l'eroe greco con un tempio o una statua dedicatogli, ma nessuna fonte né alcuna scoperta archeologica conforta tale ipotesi. La piazza pubblica, l'antico foro sorto in sostituzione dell'Agorà, la individuò alla fine del Settecento il principe Ignazio Paternò Castello in quello che il popolino e gli eruditi locali vedevano quale bagno de' tempi antichi, ossia in una serie di ambienti ipogei presso il caseggiato del piano di San Pantaleone. Oggi non siamo in grado di confermare quanto il principe ritenne di aver identificato, tuttavia è piuttosto significativo il sito in cui si trovano le strutture studiate dal dotto mecenate. Qui esisteva un tempo la chiesa di San Giovanni alla Giudecca superiore, a detta del Policastro situata alle spalle della chiesa di Santa Marina (di cui avanza un resto in via Pozzo Mulino) e ricondotta al culto di Euplio nel 1486.
Resti della chiesa di Santa Marina su via Pozzo Mulino. Alle spalle di questa era eretto il tempio dedicato a Euplio.
Come nel caso di Agata, quindi, nel luogo del martirio dovette sorgere un primo luogo di culto al Santo, rinnovato dopo varie vicissitudini in epoche successive. Il tempio più antico, ricorda Maria Stelladoro (Euplio – Euplio martire: dalla tradizione greca manoscritta, 2006) si trovava in contrada Muro Rotto, odierno quartiere di San Cristoforo, non lungi dai ruderi ipotizzati dagli eruditi locali quali i resti di una grandiosa Naumachia. La contrada non era distante dal presunto foro romano del cortile di San Pantaleone, né dalla via Pozzo Mulino, luogo dove per tradizione venne gettato il capo mozzo del Santo. Su questo presunto tempio non sappiamo praticamente nulla, ma possiamo ipotizzarne una data di fondazione tardo-antica, sulla base di alcuni elementi.
La contrada Muro Rotto si trovava al di fuori delle mura medioevali, sorte nel periodo in cui Catania fu capitale, le quali isolavano dalla città i ruderi del passato non difendibili e ormai decadenti (a nord accadeva per l'Anfiteatro, a sud per gli stadi, a ovest per edifici ritenuti templi – l'Arcora e il presunto tempio di Cerere – del mondo pagano). Le mura probabilmente seguivano un circuito ormai consolidato da secoli, risalente forse alle aggressioni gote alla città, in epoca tardo-antica. Inutile ricordare che è questo il periodo in cui il re ostrogoto Teodorico concesse ai catanesi la spoliazione dell'Anfiteatro per ricavarne materiale come fosse una cava di pietre: questo elemento indica una sorta di restringimento della città che abbandona gli edifici periferici (e gli edifici per gli spettacoli in età romana lo erano) per concentrarsi nella zona più centrale.
La contrada Muro Rotto in una veduta di Tiburzio Spannocchi.
Alle mura si addossavano i sepolcri della comunità cristiana (abbiamo già parlato dell'origine della contrada Fosse), le quali si sovrapponevano senza soluzione di continuità alle necropoli antiche: a nord con i sepolcri di via dottor Consoli e di via Sant'Euplio, a sud probabilmente nella citata contrada Muro Rotto. A ovest, dov'è oggi piazza Campo Trincerato, in un'area evidentemente risparmiata dalle lave del 1669, si rinvenne il celebre Cippo Carcaci, importante monumento funebre a forma di altare che testimonia la presenza di una necropoli a sud della città in epoca imperiale, non lungi dagli stadi; tuttavia la lava anzidetta ci preclude qualsiasi indagine per stabilire con certezza quale l'interazione tra i vari elementi urbani di quest'area.
Il Cippo Carcaci all'interno del Museo Civico al Castello Ursino.
Il tempio dedicato a Euplio dovette poi decadere, forse con la conquista islamica. Nel IX secolo i re Berberi portarono in Sicilia numerosi nuclei di Ebrei Mori, i quali facevano loro da contabili, tesorieri e notai. A Catania si stabilirono nella zona della Cipriana (la zona dei Greco-Ciprioti?), a nord-ovest, da cui poi in un paio di secoli si spinsero a colonizzare la zona delle mura meridionali, appunto presso il Muro Rotto. Appare dunque evidente che il culto di Euplio dovette subire certamente un trasferimento se non un lungo periodo di interruzione. Una prova della perdita del culto in tale area sta nell'assenza di riferimenti a chiese, in particolare dedicate al Santo, sulle planimetrie più antiche pervenuteci e risalenti al XVI e al XVII secolo. La notizia riportata dal Policastro evidentemente riferisce di una chiesupola considerata non particolarmente importante dai cartografi del tempo, la quale si colloca distante dal tempio originario, sebbene comunque in zona.
L'area dovette prendere il nome dal Santo, se il Bastione che qui sorse alla fine del Cinquecento venne detto di Sant'Euplio. Di questo bastione ne fu progettata la realizzazione a metà del secolo a rinforzare le ormai insufficienti mura aragonesi, ma dal rilievo di Tiburzio Spannocchi appare evidente che non venne ancora completato negli anni successivi. Curioso però che lo Spannocchi lo chiami di S. Polo (da leggersi San Paolo) anziché di S. Euplo. Nel rilievo del Negro del 1610 il bastione sembra essere completo e in forma semiciclica anziché a martello come nel disegno precedente. Il nome è Euplio. Grazie a questo rilievo siamo in grado di stabilire con estrema esattezza dove esso si trovi, nonostante sia del tutto sommerso da quei casalini che costituirono il nascente nucleo di San Cristoforo. Siamo poco più a sud della piazza di Sant'Antonio, della cui chiesa abbiamo già accennato (Terme di Sant'Antonio: tra degrado e possibilità), il medesimo Santo che aveva un altare presso il cinquecentesco tempio di Euplio a nord.
Muro a baionetta del Bastione di Sant'Euplio, lato occidentale (vicolo della Spiga).
Il Bastione è tagliato in due parti dalla via SS. Trinità.
Resti delle mura meridionali (Torre?) a cui si addossava il Bastione nel suo lato occidentale (vicolo della Spiga).
Parete interna del Bastione di Sant'Euplio, lato orientale.
Sebbene se ne conservi una cospicua porzione, l'accesso è negato a causa di un muro di privati.

L'unico accesso al lato orientale del Bastione (la parte meglio conservata del medesimo).
La porticciuola è chiusa da un catenaccio.
 Quindi in zona esistette un tempio dedicato a Sant'Euplio, ma dove? Abbiamo già fatto cenno della scomparsa chiesa di San Giovanni alla Giudecca. Di questa chiesa non abbiamo molte notizie, mentre ci è più nota la chiesa di San Giovanni Battista che si apriva sull'attuale via Giuseppe Garibaldi. Questa, ricorda il Rasà-Napoli, il 25 giugno 1550 e fu insignita dell'Ordine Gerosolimitano dei Cavalieri di Malta, diventando una replica dell'omonimo tempio spedaliero presso la Porta di Sant'Orsola (di essa ne resta solo l'arco su via Cestai). Che fosse una rifondazione della preesistente chiesa medievale? Nel 1548 è testimoniato un violento terremoto a Catania il quale, sebbene non riportò ingenti danni alla popolazione e alle cose, certamente rovinò gli edifici meno robusti (alcuni edifici realizzati a secco crollarono miseramente) e tra questi forse potremmo vedere bene anche il tempio di Sant'Euplio che prima del 1486 fu dedicato a Giovanni. Forse per questo motivo non appare nelle planimetrie del Cinquecento alcun riferimento al Santo. Singolare la presenza di un bastione datato al 1553 poco più ad occidente, dedicato a San Giovanni: che qui esistesse un altro santuario dedicato al Battista a partire dal 1486? Appare improbabile vista piuttosto la presenza del convento di Santa Lucia che fu sede dell'ospedale di San Marco e in seguito anche dell'Università degli Studi al suo interno.
Palazzina della fine degli anni '70 su via Garibaldi.
Per realizzarla venne distrutta l'antica chiesa di San Giovanni Battista.
Come si può notare dalla foto, la palazzina non ha dimostrato la resistenza della chiesa che sostituisce.
Ma cosa accadde allora? Come sparisce il titolo a San Paolo dal bastione meridionale?
Qui si apre un altro lungo capitolo che cercheremo di riassumere.
Dove il Bastione di Sant'Euplio o di San Paolo (ma curiosamente Filoteo degli Omodei chiama il Santo Opolo, donde si possa ipotizzare un errore da parte dello Spannocchi nello scrivere Polo) incontrava le mura medioevali sul suo lato orientale, sorgeva la chiesa dei Santi Pietro e Paolo. Qui nel Seicento venne trasferito il culto di Santa Maria dell'Aiuto, dove viene ancora venerata, la quale in precedenza aveva il culto nella chiesa dei Santi Simone e Giuda, non distante dalla attuale sede, nel cortile della Misericordia, oggi un piccolo slargo circondato da casupole che si apre in via Consolato della Seta, alle spalle della chiesa di San Giacomo. Il culto dell'Aiuto era presente a Catania almeno dal 1372 e trovò la nuova sede forse intorno al 1635, quando venne fondata la Congregazione dei Secolari, e ne è certa la presenza il 3 novembre 1641, quando venne portata in processione una riproduzione della Vergine che si reputava miracolosa, proveniente pare dalla chiesa di Santa Marina, la stessa di cui rimane una porzione in via Pozzo Mulino, come ricorda il Rasà-Napoli, e alle cui spalle era ubicata la chiesa di San Giovanni.
Cortile della Misericordia (via Consolato della Seta).
Vi si affacciava la chiesa dell'Aiuto prima del 1635.
Uno dei casalini (case popolari del quartiere operaio) del primo Settecento. Vi si scorgono elementi di riciclo interpretabili quali i resti dell'antica chiesa dell'Aiuto.
Dunque le vicende dei santuari dedicati a Giovanni, a Marina, a Maria dell'Aiuto, a Pietro e Paolo, appaiono fittamente intricati tra essi e con i luoghi della tradizione di Euplio, in un quartiere che appariva nel Medioevo (e ancora nel 1833 per Sebastiano Ittar, e ancora nel 1900 per Giuseppe Rasà-Napoli) ricco di chiese le cui storie sono inevitabilmente intrecciate con la storia generale di Catania, tutto intorno al Bastione che vi si eresse, mai del tutto completato e rovinato dall'eruzione del 1669, oggi del tutto sommerso da quella stessa città che avrebbe dovuto difendere, se mai lo si fosse compiuto. Un baluardo sorto forse con troppo ritardo, ma la cui storia sembra rispecchiare l'animo del quartiere in cui è ubicato, San Cristoforo, un quartiere a metà, mai del tutto cosciente delle storie che lo hanno generato.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...